Trent'anni e non sentirli. Fresu, il jazz si fa in cinque

Trent'anni e non sentirli. Fresu, il jazz si fa in cinque

19 luglio

Trent'anni e non sentirli. Fresu, il jazz si fa in cinque

Articolo de La Nazione Siena del 19 luglio 2014, pag. 18

Trent'anni e non sentirli. Fresu, il jazz si fa in cinque

di Giulia Maestrini


TRENT’ANNI e non sentirli. Basta ascoltarli, quando salgono sul palco, per capire che il tempo non è passato e che loro si divertono oggi come allora, quando tutto è cominciato. Era il 1982 e il giovane trombettista Paolo Fresu era allievo al Siena Jazz, così come Roberto Cipelli oggi ‘suo’ pianista. Si incontrarono, due anni dopo misero su un quintetto con Tino Tracanna, sax tenore e soprano, Attilio Zanchi al contrabbasso ed Ettore Fioravanti alla batteria. Oggi stanno ancora insieme e festeggiano proprio a Siena, domani alle 21,15, sul palco di ‘Siena & Stars’ in Piazza del Duomo.
Trent’anni insieme. Inevitabile partire da qui: come ci si sente?
«Molto bene, per noi non è cambiato nulla. Ovviamente siamo cambiati noi, 30 anni sono lunghi, ma lo spirito e la passione per la musica sono rimasti immutati. Oggi siamo forse il gruppo più longevo del jazz europeo, ma non è questo il traguardo: il bello è essere insieme sul palco con la stessa passione e con un principio di stima che è il motore, la fiamma che ci ha tenuto insieme. Siamo cresciuti sul piano professionale ma soprattutto umano, il rispetto e una grande amicizia ci hanno permesso di superare anche le difficoltà, come in una coppia».
Ma in una coppia si è solo in due, in cinque è più difficile: come ci siete riusciti?
«Con la capacità di confrontarci serenamente. E’ ovvio, il nostro successo è dovuto alla musica, ma anche alla capacità di andare oltre, con lo spirito critico».
Era molto giovane quando il quintetto si è formato, come ha capito che erano le persone giuste?
«Ho avuto fortuna. E molta incoscienza e un po’ di sesto senso».
Non avete mai pensato di andare ognuno per la propria strada?
«Mai. Certo, ci sono stati momenti per chiarirsi, magari alla fine di periodi complessi in cui non arrivavano risultati sperati; allora ci fermavamo a fare il punto, con serenità. Sono stato onorato di trovare persone straordinarie».
Cosa è cambiato nel mondo del jazz in questi trent’anni?
«Molte cose sono cambiate, in bene. Oggi il jazz è una musica planetaria che dipende meno dal linguaggio afroamericano; all’inizio, negli anni Ottanta, eravamo ancora sudditi di ciò che arrivava da Oltreoceano, ma oggi il jazz europeo ha una sua identità. E quello italiano è diventato un’eccellenza da esportare, proprio come la moda o la Ferrari. Anche per questo c’è un pubblico più vasto, tanti musicisti che suonano in modo incredibile, soprattutto tra i giovani, anche grazie a scuole come il Siena Jazz. Inoltre si è aperto un nuovo percorso con le istituzioni. Ci sono ancora molte cose da fare, ma in questo momento c’è grande speranza».
Tanti concerti sulle spalle, cosa ha di diverso questo ?
«Questo concerto non può essere normale: per la liason sentimentale che ci lega alla città, si porta appresso una carica di emozioni, ricordi e pensieri che lo rendono, spero, unico. Siamo nati a Siena, io ho insegnato qui per vent’anni, sono legato al Siena Jazz: questo concerto allora assume un significato particolare perché dimostra quello che Siena ha prodotto negli anni, professionalmente ma anche a livello umano come luogo di incontro».